Il tema dell’autostima “preventiva” [mi compiaccio delle mie qualità, così sarò sicuro di me stesso e riuscirò, vincerò] opposta all’autostima “consuntiva” [ho lavorato duro, vedo i risultati, stimo me stesso], nelle parole di un’epistemologa che aveva una qualche competenza in merito:
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“L’autostima non è altro che il sapere di potersi fidare della propria capacità di pensare, di percepire dati dal mondo esterno e di capirli, per poi agire nel modo più efficace e utile nella realtà. Sapere di avere strumenti e capacità.
Quindi è strettamente legata alla verità e alla realtà.
Non può essere sostituita dal potere di ingannare o ingannarsi, di creare realtà fittizie, piacevoli ma inconsistenti.
Non aumento la mia autostima raccontandomi delle favole. Attribuendomi successi che non esistono.
L’autostima, la fiducia in se stesso, di uno scienziato o di un vincente, non è la stessa cosa dell’autostima di un imbroglione o di un simulatore.
Non provengono dallo stesso universo psicologico.
E radicalmente diverse, anzi opposte, sono le conseguenze nei due casi:
un uomo che accetta la realtà, a ogni successo [vedere, accettare, capire, agire, ottenere che altri vedano la sua riuscita] aumenta la sua autostima.
E’ alleato dell’intelligenza altrui. Più l’interlocutore vede le cose con lucidità, meglio è per lui.
Si circonda di gente capace, che dà giudizi positivi solo se meritati. Ma quei giudizi sono solidi, credibili, duraturi.
Un uomo che bluffa, o nega la realtà, con ogni “successo” [convincere altri di qualcosa che non esiste, infiorare la realtà] aumenta la propria angoscia e insicurezza.
Se l’interlocutore fosse lucido e competente, lui sarebbe sbugiardato. E vive nella paura di esserlo.
Cerca allora la fiducia e l’amiczia dell’ingenuo, o addirittura dello stupido, o di un altro simulatore.
Si immerge sempre più in un mondo di mediocrità e dati fasulli, autodistruggendosi”.
[A. Rand, “Return of the Primitive”]
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